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Poesia, eleganza, malinconia d’Islanda

“I genitori di Ásta, Helga e Sigvaldi, hanno scelto questo nome prima che nascesse, convinti che sarebbe stata una femmina, l’hanno tratto da Gente indipendente, un romanzo di Halldór Laxness uscito negli anni 1934-1935. […] Eppure si è tentati di chiedersi se non sia stato… di cattivo auspicio… darle il nome di un personaggio a cui certo è facile affezionarsi, ma che vive e morirà, all’ombra di suo padre, dove non cresce altro che testardaggine, e la sfortuna e la crudeltà che si generano dall’essere incapaci di mettersi nei panni degli altri. Ti battezzo Ásta perché un’altra Ásta è morta in una brughiera fredda, tossendo sangue, sull’altare di suo padre.”

Fin dalle prime righe Stefánnson ci avvisa che il suo romanzo, “Storia di Ásta”, sarà greve di guai e tristezze e che la sua protagonista, Ásta, non avrà vita facile. E ci indica, pure, dove principalmente si annideranno problemi e difficoltà, poiché ci informa che Helga, inizialmente dubbiosa, si convince della bellezza del nome quando realizza che, privato della a finale, ást significa «amore». Altri avvisi sparge l’autore nelle sue prime righe: che attraverserà tempi e luoghi per una durata di più di mezzo secolo, che parlerà ai suoi lettori di morte e di scelte, che aprirà domande a cui non ci sono risposte, che farà grandi digressioni rispetto alla storia principale, perché “com’è possibile raccontare la storia di una persona senza toccare anche le vite che la circondano, l’atmosfera che sostiene il cielo – e soprattutto, è legittimo farlo?”
Ecco allora che attorno alla vita di Ásta costruisce ghirigori tortuosi che attraversano tante altre vite fino a formare una saga: tanti piccoli quadri che compongono un intreccio aggrovigliato che – i lettori di Stefánnson ci sono ormai abituati – è arduo dipanare! Ne origina una trama frammentata e sconnessa, difficile da riassumere anche a grandi linee. Helga è molto giovane quando Ásta nasce, ha solo diciannove anni, ma lei e Sigvaldi, dieci anni più grande, hanno già una figlia. I ricordi riaffiorano a ritroso quando Sigvaldi, sessantenne, cade battendo la testa su un marciapiede: è la storia di ciò che succede quando Helga abbandona Sigvaldi e le due bambine per andare a conoscere il mondo, e poi lasciarsi andare ad una vita di smoderatezze, sesso, alcool. È la storia dei molti spostamenti di Ásta, che cresce con un’anziana balia affettuosa (ed anche le sue vicende ci vengono narrate, sconnesse da amnesie e ricordi spezzati), che a sedici anni passerà alcuni mesi in un luogo dei Fiordi Occidentali e vi incontrerà Jósef, destinato a essere l’ást presagito dal suo nome.

Stefánnson zooma e poi si riallontana dai suoi protagonisti lentamente, scolpendoli piano con le parole. Anche lo scrittore si è un po’ perso nella folla dei suoi avvenimenti e personaggi e – con il vezzo elegante di mettere anche se stesso nella sua trama – ci rende edotti delle sue incertezze, dei suoi dubbi sulla chiusura delle molte storie intrecciate che ha messo in piedi. “Ero seduto alla scrivania, stavo osservando distratto il blu glaciale dell’oceano e ragionavo tra me su come poter aiutare Ásta […] E Sigvaldi? Quanto tempo può starsene lì disteso sul marciapiede…?”

“Ciascun essere umano è uno strumento a sei corde”, scrive l’autore. E lui è in grado di toccarle tutte, malinconia, passione, curiosità… Con una colonna sonora e letteraria di tutto rispetto, fatta di jazz e di folk, di versi e di letteratura islandese, a ogni riga Stefánnson lascia al suo lettore il regalo di un testo poetico, elegante e raffinatissimo.

Storia di Ásta, Jón Kalman Stefánsson, Iperborea, pp. 480, euro 19,50.
ISBN 9788870916003

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